Mi chiamo Alina, ho 44 anni, sono la mamma di una bimba autistica di 7 anni e vivo a Cupello. Venerdì 19 giugno, dopo le 20, sono andata a fare una passeggiata nel parco con mia figlia. Camminavo, tranquilla. A un certo punto mi sono sentita pungere al braccio.
Non ci ho dato troppo peso. Ma da quel momento è cominciato tutto.
Domenica 22 sono andata al pronto soccorso: il braccio era gonfio, arrossato, dolorante.
Mi rimandano a casa.
Torno il 25, peggiorata, con dolori assurdi e piena di infezione. Mi incidono il braccio per far uscire un fiume di pus e mi rimandano a casa.
Il 26 mi ricoverano: la situazione era degenerata, non accennava a risolversi. Grave infezione, compatibile con una puntura di zecca.
Resto in ospedale una settimana.
Mi dimettono il 2 luglio.
Antibiotico e cortisone ancora per altri 15 giorni.
Un incubo. Tutto per essere andata in un parco pubblico.
Ora ditemi voi: com’è possibile?
Quel parco è un disastro. E lo sanno tutti.
• L’erba viene tagliata in parte e lasciata lì, a marcire.
• I cancelli non si chiudono, entrano animali randagi e selvatici.
• C’è un quadro elettrico aperto ad altezza bambino.
• Le giostre sono rotte.
• C’è un muro pericolante che nessuno mette in sicurezza.
• Gli alberi non vengono potati.
• Lo sporco è ovunque.
È un parco o una trappola?
E no, non è un caso isolato: tutti i parchi di Cupello sono ridotti così.
Io sono una donna adulta, in salute. Ma ho una figlia gravemente autistica, che non parla, che ha bisogno di me 24 ore su 24.
Per una settimana non ha avuto la sua mamma accanto.
Non sapeva dove fossi, non riusciva a capirlo.
È stato un trauma. Per lei. Per me. Per tutta la famiglia.
E tutto questo perché un parco viene lasciato nel degrado.
E sapete cosa ha fatto il Comune dopo tutto questo?
Ha pubblicato un bel post social:
“Stasera disinfestazione contro insetti alati: zanzare, pappataci, tafani…”
Le zecche non volano.
E la vostra disinfestazione non risolve il problema dei parchi pericolosi, sporchi e abbandonati di Cupello.
Perché i parchi fanno schifo. Tutti. Non solo quello dove sono stata punta.
Quindi ve lo chiedo, pubblicamente:
E se fosse successo a mia figlia?
Che non può parlare, che non può dire “mi sento pungere”?
Che non può spiegare dove le fa male, cosa è stato, che non sa comunicare un sintomo?
Cosa succede la prossima volta?
Aspettiamo che accada qualcosa di irreparabile?
Io no.
Io ve lo scrivo adesso, prima che sia troppo tardi.
Perché non voglio tacere, e perché la salute pubblica è una vostra responsabilità.
Firmato,
una madre stanca e arrabbiata.