Di Ninni
Giovanni Artese: "Ma cosa celebreremo il prossimo 25 aprile?"
Giovanni artese
Il concetto di “resistenza” è universale
28/03/23

L’Italia è un paese che non cessa mai di stupire, tanto per l’incoerenza nei comportamenti dei suoi cittadini e politici quanto per l’assoluta mancanza di memoria storica.

Ne è un esempio il “pacifismo” che sta montando nel nostro Paese sul tema della guerra in Ucraina. In recenti sondaggi sull’invio di armi al governo di Zelensky gli italiani si sono infatti espressi  per il 51% contro e per il 31% a favore. E se i putiniani dichiarati nel frattempo sono scesi al 7% appena, la maggioranza dei cittadini ora punta alla pace “attraverso i negoziati”, senza accompagnarla ad una seria riflessione su come si arriva alla trattativa e a quali condizioni può essere fatta la pace (essendoci comunque un aggressore e un aggredito).

Dunque, un Paese che un anno  e mezzo fa annoverava molti ammiratori di Putin (a destra ma persino a sinistra e in 5 Stelle) si è rapidamente trasformato in un Paese di pacifisti mentre il governo e parte dell’opposizione sono sì schierati con l’Ucraina ma tanto, e più, per fedeltà all’alleanza politico-militare con la NATO e gli Stati Uniti che per un’autentica solidarietà e condivisione di valori . 

Storicamente il pacifismo, con l’azione non violenta che l’accompagna, ha sempre prodotto risultati di rilievo ma non senza la mobilitazione e la lotta. La lezione di Gandhi e di Martin Luther King, a riguardo, è sicuramente esemplare. In Italia, perciò, chi è sempre stato pacifista, come singolo o come associazione, merita tutto il nostro rispetto. Si tratta tuttavia di un 3, 4,al massimo 10% della nostra popolazione, gente con un minimo di dignità e di coerenza. Ma gli altri cosa c’entrano con il pacifismo? E se poi questo viene persino dall’ANPI, che senso ha?

Ci si appella alla Costituzione Italiana, che ripudia la guerra. È così ma persino Mattarella e il Papa hanno saggiamente sostenuto che un popolo attaccato ha diritto di difendersi, con ogni mezzo. Liliana Segre è stata poi ancora più esplicita, affermando che “la resistenza del popolo invaso rappresenta l’esercizio di quel diritto fondamentale di difendere la propria patria, che l’articolo 52 prescrive addirittura come un dovere”. E che “dunque , non è possibile nessuna equidistanza; se vogliamo essere fedeli ai nostri valori, dobbiamo sostenere il popolo ucraino che lotta per non soccombere all’invasione, per non perdere la propria libertà”. 

Non possiamo pertanto dimenticare la lezione della Storia, che insegna come su temi quali la libertà e l’autonomia i cedimenti rafforzano solo i sistemi autoritari e guerrafondai. Molti infatti hanno dimenticato che la Repubblica democratica è nata dalla Resistenza al regime fascista e all’occupazione nazista, e che tra l’altro gli italiani devono tanto alle armate britannica e statunitense per la “liberazione” del Paese e l’avvio del percorso verso la democrazia repubblicana. Ed hanno persino dimenticato che l’Unità d’Italia si è fatta comunque con le guerre: contro l’Austria e i sovrani regionali (guerre per l’indipendenza, spedizione dei Mille, I guerra mondiale) e che l’Inno di Mameli appartiene ad un combattente per la libertà e l’unità nazionale. 

Il popolo ucraino oggi è in diaspora, disperso per un quarto oltre il suo Paese e per il resto oggetto nel proprio Paese di attacchi terroristici, un miserabile tentativo dell’aggressore di ridurre l’Ucraina al deserto della Siria. Un ritrovato particolare antiamericanismo da parte di alcuni settori della stampa e della politica italiana (che ci può stare ma non in certi termini, perché non si spiegherebbero le richieste di adesione alla NATO da parte di Paesi quali la Svezia e la Finlandia) regalerà pertanto alla Meloni e al suo governo non solo Zelensky e il suo popolo ma anche il 25 aprile?

La Storia insegna che le guerre hanno le loro dinamiche e che, una volta iniziate, difficilmente si fermano (se non per volontà di entrambi i contendenti). Nessuno ha mai potuto fermare Hitler e Mussolini, che hanno sacrificato i loro popoli a progetti di ambizione e dominio semplicemente fino alla fine. Il loro ragionamento era: se il mio popolo non è capace di vincere allora merita anche di morire. Chi dunque potrà fermare Putin, un politico che sacrifica la vita non solo dei “nemici”, civili compresi, ma di decine di migliaia di giovani russi in nome di una incredibile “denazificazione” di un altro Paese?

La pace si costruisce aprendo un confronto leale con gli altri popoli e Stati del mondo, cercando la giusta mediazione sugli interessi e sui confini, prima che si arrivi alle armi. Chi vuole dunque battersi per la pace ha tanto da fare: lottare contro l’attuale preoccupante riarmo, pressoché in tutti i Paesi, contro le politiche egemoniche non solo degli Stati Uniti, ma di Cina, Russia e altri Stati autoritari, dimostrare la propria convinta e operativa solidarietà ai popoli che soffrono l’impatto e le conseguenze delle guerre.

In conclusione se vogliamo degnamente celebrare il prossimo 25 aprile, dovremmo perciò farlo non solo ricordando la resistenza italiana al fascismo ma insieme quella di altri popoli, poiché il concetto di “resistenza” è universale, propedeutico per per l’affermazione dei valori di libertà e sovranità popolare, dunque essenziale per la democrazia.

Giovanni Artese